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Nel food vince il marketing del “come una volta”. La pubblicità convince i consumatori che l’innovazione non è mai arrivata

Che la pubblicità modifichi la nostra percezione dei prodotti è noto. Del resto, è esattamente il suo obiettivo. Con il cibo, però, il successo di questa strategia è ancora più evidente: i consumatori sono stati convinti che la verdura che comprano provenga da splendidi orti vangati a mano e che gli alimenti che consumano siano gli stessi da sempre.

Volete fare la spesa acquistando solo prodotti “di una volta”, non modificati dall’uomo? Allora non c’è neanche bisogno di prendere il carrello: uscirete con una bottiglia d’acqua (naturale), una confezione di sale e un sacchetto di funghi porcini raccolti nel bosco.

Se vi accontentate degli alimenti “antichi”, rimasti inalterati dal Novecento in poi il menù si allarga di poco: qualche bottiglia di vino, alcune pere (le Williams sono state selezionate nel Settecento), le arance Washington Navel (intorno a metà Ottocento) e poco altro. Il marketing delle aziende alimentari ci descrive un mondo che non c’è. La maggior parte di ciò che acquistiamo è il frutto di un moderno processo di selezione e miglioramento genetico. Una tecnologia che ha avuto un boom a partire dal 1980 e ha cambiato il nostro rapporto con il cibo. In un modo così profondo che, chi è nato dopo questa “sliding door”, non riesce neanche a percepire.

Al Food Science di Mantova, il festival dedicato al rapporto tra ricerca scientifica e cibo, Luigi Cattivelli del Genomic Research Centre del Crea ha “giocato” proprio su questo. “Vi sembra normale che i pomodori al supermercato siano rossi?” ha chiesto al pubblico. Viene da rispondere di sì, ma la verità è che fino a pochi decenni fa i pomodori si acquistavano ancora verdi. Perché nel momento in cui maturavano, dovevano essere consumati entro un paio di giorni prima che marcissero. “La genetica del pomodoro è stata modificata perché il frutto maturasse molto lentamente. Solo così è possibile tenerlo per settimane sugli scaffali e nel frigo di casa” spiega Cattivelli. E i datterini, i pachino, i ciliegini? “Mai visti fino agli anni Novanta”. Persino il latte, che in apparenza è lo stesso prodotto da sempre, oggi è molto diverso. “Se un litro costa poco più di un euro è perché nel corso degli ultimi 40 anni la produttività delle vacche è stata quasi raddoppiata: da 50 a 100 quintali di latte all’anno”.

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E se l’uva senza semi o l’anguria-baby sono il frutto di innovazioni recenti, che percepiamo come tali, sui banchi della frutta si vendono mele hi-tech geneticamente resistenti ai parassiti: significa che hanno visto molti meno pesticidi rispetto alle sorelle più “anziane”. “Eppure queste mele passano inosservate: è come se nessuno le volesse” dice provocatoriamente Cattivelli. Anche in questo caso, per una mera questione di marketing: promuovere una mela senza pesticidi equivale ad ammettere che tutte le altre sono state trattate circa venti volte prima della raccolta. (fonte Repubblica.it)

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TM

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