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Un intestino sano influisce positivamente su benessere fisico e umore. La pasta è un buon alleato, ancor più se è fredda

Una task force di esperti commenta le ultime ricerche scientifiche sul microbiota intestinale (i 10 trilioni di microrganismi che vivono nel nostro intestino) e come un microbiota in salute dialoga con il cervello, influisce sul benessere fisico e sull’umore, combattendo l’insorgere di processi infiammatori alla base di molte malattie croniche.

Immaginate una comunità di oltre 100 trilioni di microrganismi, 10 volte il numero delle nostre cellule, con un genoma oltre 100 volte più ampio del nostro. Si chiama microbiota intestinale, è l’insieme di tutti i microrganismi, che popolano abitualmente il nostro intestino e ha trovato in noi l’ospite perfetto. Ci accompagna fin dalla nascita, cresce con noi ed è plasmato dal nostro stile di vita e dalle abitudini alimentari. E, se lo trattiamo bene, impariamo ad ascoltarlo e a comunicare con lui attraverso il cibo, ci mantiene in salute e rallenta l’invecchiamento.

Del ruolo del microbiota intestinale e di come la dieta mediterranea – e la pasta e le verdure in particolare – possano migliorare qualità e biodiversità dei microbi che ospitiamo nell’intestino ha parlato un team multidisciplinare riunito dal Gruppo Barilla nel quadro del ciclo di incontri Let’s Talk About Food & Science – iniziato nel 2021 – e composto da Patrizia Brigidi, Professoressa di Biotecnologia delle Fermentazioni presso l’Università di Bologna, Gian Luigi de’Angelis, Professore di Gastroenterologia dell’Università di Parma, e Francesco Visioli, Professore di Nutrizione Umana presso l’Università di Padova.

Batteri buoni e batteri cattivi: la biodiversità nell’intestino che dialoga (anche) con il cervello

La scienza lo ha decodificato da circa 20 anni, ma è oggi che il microbiota intestinale è un “hot topic” della ricerca: sono oltre 16mila le menzioni negli ultimi 12 mesi su PubMed che svelano nuove evidenze su quanto sia importante vivere in armonia con questa comunità di circa cinquemila specie, tra batteri e funghi che influenza tutto il nostro organismo.

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Il microbiota intestinale ci mantiene in salute ed è la cabina di regia di molte funzioni e aspetti del nostro organismo – spiega Gian Luigi de’Angelis, Professore di Gastroenterologia dell’Università di Parma – modula il metabolismo del cibo che ingeriamo, sintetizza vitamine come la B12, la vitamina K e i folati, insegna al sistema immunitario a distinguere amici da nemici, ci difende da microrganismi pericolosi e produce il 70% della serotonina, fondamentale per la motilità intestinale”.

Quella stessa serotonina è stata definita “ormone della felicità”, a ricordarci che c’è un asse tra cervello e intestino, dove c’è una rete neuronale estremamente sviluppata. “L’asse intestino-cervello è bidirezionale, illustra de’Angelis: il microbiota ha la capacità di rilasciare neurotrasmettitori fondamentali per la regolazione del ciclo sonno-veglia e del buon umore, mentre ansia e stress possono alterare il microbiota. Quello dei soggetti depressi è caratterizzato dalla perdita di batteri benefici come il bifidus batteri. La perdita di ceppi benefici è inoltre associata a disturbi intestinali infiammatori cronici come il morbo di Crohn”, spiega de’Angelis.

Se il microbiota rallenta (o accelera) l’invecchiamento

Il microbiota cresce, diventa adulto e invecchia assieme al suo ospite e il suo stato di salute può accelerare o rallentare i processi di invecchiamento. Con l’avanzare dell’età, l’abbondanza e la varietà dei microbi diminuiscono. È stato dimostrato che alterazioni nella popolazione microbica intestinale e cambiamenti nella

permeabilità intestinale possono contribuire direttamente alla condizione di infiammazione cronica di basso grado, o “inflammaging”, che caratterizza l’invecchiamento e influisce, tra gli altri, su benessere psicofisico, anomalie metaboliche e infezioni.

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Riduzione della motilità intestinale, difficoltà di masticazione e deglutizione, inappetenza: questo declino metabolico-fisiologico può essere rallentato meglio controbilanciato con una serie di comportamenti alimentari che influiscono sulla composizione e funzionalità del microbiota intestinale – afferma Patrizia Brigidi, Docente di Biotecnologia delle Fermentazioni presso l’Università di BolognaCome sempre è meglio prevenire, con interventi sulla dieta che favoriscono la crescita e lo sviluppo di batteri “buoni”, quali i produttori gli acidi grassi a corta catena, che, tra le altre cose, supportano l’omeostasi del sistema immunitario , aumentano l’impermeabilità intestinale, forniscono energia all’organismo, e regolano appetito e sonno”.

un microbiota intestinale “povero” per 1 individuo su 4

Se è vero che siamo quello che mangiamo, vale ancora di più per il nostro microbiota. L’alimentazione plasma e modifica la struttura del microbiota intestinale, nel bene… e nel male.

Una dieta sbagliata, lo stress, una vita sedentaria cambiano e indeboliscono la biodiversità nell’intestino, vuoi per la carenza di specie benefiche o protettive, per la competizione tra specie, o per la proliferazione di ceppi potenzialmente patogeni che abbiamo inconsapevolmente favorito possono rompere l’equilibrio del microbiota impoverendolo. Una condizione, questa, che accomunerebbe il 25% della popolazione. E così alcuni microrganismi “trascurati”, che non trovano nutrimento nel cibo che ingeriamo, possono ripiegare sul muco intestinale, rendendolo più vulnerabile; altre specie possono superare le cellule epiteliali e la barriera vascolare e arrivare a organi interni e tessuto adiposo, provocando infiammazione cronica, madre di molte patologie e malattie metaboliche, come le malattie cardiovascolari, l’obesità, diabete e cancro.

migliorare il microbiota intestinale con la dieta mediterranea

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Se il microbiota è contento, anche noi siamo di buonumore perché cervello e intestino si parlano. E hanno in comune la passione per la buona tavola. Ma come nutrire il microbiota?

Non esiste una risposta univoca, un alimento salvifico, ma un complesso di abitudini e stili di vita che nel lungo periodo possono fare la differenza – spiega Francesco Visioli, Professore di Nutrizione Umana dell’Università di Padova –con una parola d’ordine: varietà. Una dieta poco varia premierà una famiglia di batteri a discapito di altre. E allora si creano i presupposti per mandare in tilt il microbiota e accendere l’infiammazione. Di certo le diete iperproteiche non aiutano i batteri “buoni” del microbiota a prosperare: uno studio del Genome Institute of Singapore condotto su soggetti adulti sovrappeso o obesi sottoposti a 4 settimane di dieta chetogenica ha evidenziato nel microbiota una diminuzione dei bifidobatteri che aiutano la regolarità dell’intestino e il suo corretto funzionamento. Di contro, la scienza ha dimostrato i benefici della Dieta Mediterranea sul microbiota intestinale: uno studio pubblicato sulla rivista Gut e condotto su soggetti con un consumo abitualmente basso di frutta e verdura e uno stile di vita sedentario, ha dimostrato che seguire la dieta mediterranea per 8 settimane ha migliorato la composizione del microbiota intestinale, riducendo lo stato infiammatorio”.

Questi risultati confermano un precedente lavoro italiano (uno studio pubblicato su BMJ Gut) secondo cui diete a base vegetale come quella mediterranea sono correlate al microbioma benefico, con l’aumento dei livelli di acidi grassi a catena corta che degradano le fibre.

Pasta, al microbiota piace il suo amido… e le verdure con cui la condiamo

Il microbiota ama la dieta mediterranea per via della fibra contenuta in molti alimenti che la caratterizzano, come cereali integrali, frutta fresca e secca, che nutrono i batteri buoni del nostro intestino. Il nostro organismo non ha gli enzimi per sfruttarle, ma i batteri sì. E i batteri sono in grado di digerire per noi anche l’amido della pasta, che ha una struttura molecolare analoga alla fibra.

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Il nostro organismo ama la pasta anche perché favorisce la crescita della ‘popolazione buona’ del microbiota, specie se associata ad altri alimenti chiave del mangiare mediterraneo, come verdure e ortaggi, che, assieme alla pasta, integrale o tradizionale, contribuiscono ad immettere fibre nel nostro intestino”, spiega Francesco Visioli. Il microbiota in salute influisce sul nostro umore perché partecipa alla trasformazione di un aminoacido (il triptofano) in melatonina e serotonina. Inoltre, controlla la permeabilità intestinale, bloccando il passaggio di alcune molecole che possono generare un’infiammazione sistemica fino a raggiungere il cervello”.

Se poi la pasta è inserita in un modello alimentare mediterraneo la felicità del microbiota cresce esponenzialmente: la ricerca pubblicata sulla rivista BMJ Gut ha studiato 612 soggetti tra i 65 e i 79 anni di età provenienti da Francia, Italia, Olanda, Polonia e Regno Unito, sottoponendo per un anno metà del campione ad un’alimentazione basata sulla dieta mediterranea. A fine studio, il loro microbiota intestinale era cambiato in meglio, inibendo la produzione di sostanze chimiche infiammatorie che possono portare alla perdita della funzione cognitiva e allo sviluppo di malattie croniche come diabete, cancro e aterosclerosi. In altre parole, la dieta mediterranea migliora la funzione cognitiva e favorisce un invecchiamento sano.

Pasta & co: ecco gli alimenti amici del microbiota

Nel menù del microbiota intestinale non dovrebbero mai mancare le fibre. Quelle solubili (la pasta al dente) e insolubili (la verdura) stimolano la produzione e l’espansione di batteri buoni. E ancora, composti polifenolici, di cui sono ricchi frutti di bosco, agrumi, cavoli, broccoli, pomodori, olio d’oliva, noci, che apporterebbero una crescita di Lactobacillus e Bifidobacterium; carciofi, asparagi, aglio, cipolla, porri, topinambur e cicoria, per il contenuto di inulina; legumi come fagioli, lenticchie, ceci, piselli e fave per il contenuto di Frutto-olisaccaridi e Galatto-olisaccaridi; pinoli, nocciole, spinaci e pesce azzurro per acidi grassi omega 3… tutti alimenti che possono essere una soluzione contro l’infiammazione cronica.

A proposito di pasta, con l’arrivo dell’estate, se consumata fredda, la pasta può avere una ulteriore marcia in più per il microbiota, rivelaVisioli: “L’amido resistente della pasta con il cambio di temperatura assume una conformazione tale che si comporta esattamente come le fibre, che i batteri usano per produrre un acido grasso a catena corta come il butirrato, che controlla la permeabilità intestinale”.

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Pasta, verdure, legumi: rieccoci quindi alla pasta con ceci e verdure di Orazio. Ma anche a una più “moderna” pasta al pomodoro o al pesto…

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TM

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