Nel 2024, il mercato dell’intelligenza artificiale in Italia ha registrato una crescita del 58%, superando la soglia record di 1,2 miliardi di euro.
A rivelarlo è l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, secondo cui i settori che investono maggiormente in AI sono telecomunicazioni, media, assicurazioni, energia, risorse, utility, banking e finance, con un’accelerazione significativa nel comparto GDO & retail. Tuttavia, nonostante la diffusione capillare, gli operatori del settore pubblicitario sembrano poco convinti delle capacità creative dell’intelligenza artificiale.
AI-mania nel mondo della pubblicità digitale
Secondo un’indagine di IAB Interactive Advertising Bureau – Europe, il 91% degli operatori del settore pubblicitario digitale in Europa sta già utilizzando o ha utilizzato l’AI generativa, o almeno prevede di farlo nei prossimi sei mesi. Tuttavia, non mancano le riserve. “L’intelligenza artificiale non può sostituire la creatività, ovvero il fattore umano”, osserva Davide Ciliberti, spin doctor del gruppo di comunicazione Purple & Noise. Un entusiasmo moderato, dunque, che rivela il limite più evidente dell’AI: la capacità di generare contenuti, ma non di creare in modo originale.

AI generativa sì, creativa no: il parere degli esperti
A spiegare meglio questa distinzione è Carlo Cavicchio, art director di CD Cromo, storica azienda italiana di grafica d’eccellenza. “L’AI sicuramente è generativa ma decisamente non creativa. L’output è spesso accattivante, ma manca di quella scintilla di originalità, di ingegno e artigianalità che solo il fattore umano può dare”, spiega Cavicchio. Secondo l’esperto, gli algoritmi, che si nutrono dei dati degli utenti, finiscono per produrre contenuti che rispecchiano gusti già noti, risultando in definitiva piatti e prevedibili.
Dello stesso avviso è Cesare Casiraghi, noto pubblicitario italiano, che riconosce le potenzialità dell’AI come strumento di supporto, ma ne evidenzia i limiti. “È uno strumento straordinario per cercare nuovi stimoli e spunti, ma gli manca la capacità di mettere a segno il ‘goal’ decisivo”, afferma Casiraghi. A riprova di questa tesi, ricorda un episodio emblematico: “Se il fisico e premio Nobel Giorgio Parisi è riuscito a convincere l’AI che 4×5 fa 25, allora dobbiamo augurarci che l’intelligenza artificiale non sostituisca mai i creativi umani”.
La visione strategica resta umana
Andrea Crocioni, direttore di TouchPoint, principale testata di pubblicità in Italia, sottolinea come l’AI sia una tecnologia in evoluzione, ancora plasmabile. “Per i creativi è un interessantissimo tool, ma non può sostituire il genio artistico”, ammonisce Crocioni. L’AI, secondo lui, può essere sfruttata per ottimizzare i tempi di produzione, ma la visione strategica e la capacità di creare campagne memorabili restano appannaggio esclusivo dell’uomo.
Anche Vicky Gitto, pluripremiato creativo italiano riconosciuto a livello internazionale, conferma questa linea di pensiero. “La qualità esecutiva degli applicativi basati su AI sta migliorando velocemente, ma per la realizzazione di una campagna, l’AI da sola non basta”, afferma Gitto. Sebbene l’AI possa essere utile per la produzione rapida di post e reel per i social media, Gitto ritiene che le campagne pubblicitarie vere e proprie necessitino ancora di talento creativo e visione strategica per incidere realmente sul valore dei brand.
L’originalità non è (ancora) replicabile
Ciliberti conclude con un esempio pratico: “Provate a passare un brief per una campagna sia a un creativo umano che all’AI. Quest’ultima vi proporrà comunque un déjà vu. Slogan storici come ‘O così o Pomi’ del mitico Pino Pilla dell’agenzia Pirella possono nascere solo dal talento umano”. La creatività, insomma, sembra ancora saldamente nelle mani degli esseri umani, mentre l’AI rimane relegata al ruolo di strumento di supporto, capace di generare ma non di creare.