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Cibo e bevande in testa nelle spese a casa e fuori della Generazione Z (18-25 anni)

Scarse conoscenze delle dinamiche economico finanziarie, entrate limitate e spese spesso elevate. La Generazione Z (la fascia di età compresa tra i 18 e i 25 anni) – quando si parla di educazione finanziaria – necessita di punti di riferimento che ricerca in primis all’interno della propria famiglia senza trovare però informazioni sufficientemente affidabili e autorevoli. Ė quanto emerge dall’indagine promossa da Esdebitami Retake e condotta da Nomisma sui giovani, circa un migliaio, della fascia d’età compresa tra i 18 e i 25 anni per indagare le loro abitudini di spesa e inoltre la loro conoscenza delle dinamiche finanziarie.

I dati saranno presentati in occasione dell’evento “Gen Z e consapevolezza finanziaria tra digitale, tecnologia e new economy”, iniziativa che rientra nel mese dell’educazione finanziaria ed è promossa dal Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria del MEF – Ministero dell’economia e finanza. Considerando la disponibilità finanziaria dei ragazzi appartenenti alla Gen Z emerge come 8 su 10 abbiano avuto negli ultimi 12 mesi denaro da gestire in autonomia, con un’entrata media mensile pari a 842 euro tra stipendio, paghetta e regali. Il denaro che hanno a disposizione deriva da una combinazione di stipendio o proventi da un’attività lavorativa (nel 57 per cento dei casi), di regali ricevuti (37 per cento), di una somma fissa elargita dai genitori (32 per cento) e somme di denaro date all’occorrenza (30 per cento). Un campanello d’allarme proviene però dal fatto che il 12 per cento degli intervistati dichiari di ricavare guadagni da vincite a scommesse, giochi e lotterie. Considerando che in questa fascia di età meno del 40 per cento dei ragazzi ha un’occupazione lavorativa più o meno stabile, nel complesso rimane elevato il supporto da parte della famiglia nella copertura delle spese mensili: ben il 62 per cento di chi lavora e il 72 per cento di chi non lavora non riesce infatti a far fronte alle spese mensili, anche per una frequente difficoltà a gestire in modo consapevole l’equilibrio tra risorse disponibili e spese.

Diverse, invece, le modalità di approccio alla spesa: il 42 per cento dei giovani tra i 18 e i 22 anni sostiene di valutare attentamente l’opportunità di fare o meno un acquisto in base alle proprie disponibilità finanziarie (39 per cento nel caso di ragazzi tra i 23 e 25 anni). Un accorgimento usato frequentemente è quello di fissare un limite di spesa giornaliero o settimanale cercando di non superarlo (dal 39 per cento dei ragazzi tra i 18 e 22 anni e dal 42 per cento di quelli tra i 23 e i 25 anni). Dall’indagine emerge, però, che 1 ragazzo su 5 non pensa a quanti soldi ha a disposizione prima di effettuare un acquisto.

CIBO E BEVANDE

Tra le principali voci di spesa sostenute nell’ultimo anno dai ragazzi della Generazione Z al primo posto si trovano cibo e bevande per consumi domestici (citati dal 48 per cento degli intervistati), seguiti dalle spese per mangiare e bere fuori casa (42 per cento), da quelle dedicate ad abbigliamento, calzature e accessori (40 per cento) e da quelle per il divertimento, discoteca, concerti, ecc. e viaggi (entrambi con il 33 per cento).

Le spese per il carburante e mezzi di trasporto sono citate solo dal 30 per cento dei rispondenti, bollette e utenze dal 25 per cento e l’affitto solo dal 18 per cento.

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L’indagine evidenzia anche come la famiglia – nella maggior parte dei casi – non aiuti i ragazzi a monitorare entrate e uscite tenendo traccia delle spese sostenute, anche nel caso in cui sia la famiglia stessa a doversene fare carico. Al riguardo, solo il 43 per cento dei ragazzi tra i 18 ai 22 anni tiene traccia in maniera continuativa di tutte le spese sostenute, mentre il 45 per cento se ne cura solo a volte e/o per quelle più consistenti, percentuali che salgono rispettivamente al 45 per cento e al 50 per cento nella fascia d’età tra i 23 e i 25 anni. Per controllare le uscite, il modo più utilizzato è l’annotazione sul telefono (nel 35 per cento dei casi), app dedicate (32 per cento), un diario (18 per cento), la raccolta e conservazione degli scontrini (12 per cento). Il 12 per cento dei ragazzi tra i 18 ai 22 anni non tiene però alcuna traccia delle proprie spese, percentuale che scende al 5 per cento tra i giovani tra i 23 e i 25 anni. Tra gli strumenti finanziari più utilizzati dagli young Gen Z troviamo al primo posto il conto corrente bancario o postale personale (citato dal 70 per cento degli intervistati), seguito da carta prepagata (66 per cento) e bancomat personale (57 per cento).

Tra gli old Gen Z le percentuali salgono rispettivamente al 73 per cento, 63 per cento e 62 per cento. Interessante notare come il 19 per cento della Gen Z utilizzi le crypto wallet per la gestione del denaro. Nella top 3 degli strumenti più utilizzati dai ragazzi per il pagamento delle proprie spese si trovano contanti, bancomat e PayPal. Tra gli intervistati risulta che il 35 per cento ha in corso almeno una posizione debitoria tra mutuo per la casa, prestiti finalizzati all’acquisto di prodotti o servizi, dilazioni di pagamento e prestiti personali. Di questi, il 13 per cento con difficoltà è riuscito a pagare le rate. La scelta di effettuare qualche acquisto a rate – è riconducibile prevalentemente alla necessità di ridurre le uscite mensili e spalmare nel tempo il peso di una spesa a fronte di una liquidità non sufficiente. Da segnalare anche come l’87 per cento dei ragazzi attui azioni di risparmio mentre una quota minoritaria si dedichi a qualche forma di investimento (solo nel 10 per cento dei casi con cadenza mensile). Questa propensione, però, si scontra con le scarse conoscenze in ambito finanziario che sono state oggetto di uno specifico approfondimento della survey Nomisma: le attuali conoscenze economico-finanziarie della Gen Z derivano principalmente dalla famiglia (40 per cento), dalle ricerche condotte in autonomia su internet (33 per cento), dal proprio percorso di studi (22 per cento) o dai social network (21 per cento).

Peraltro i parenti rivestono un ruolo fondamentale anche in qualità di consulenti sulle decisioni di risparmio o investimento, precedendo addirittura le banche e gli istituti finanziari: i giovani che attuano azioni di risparmio o investimento interpellano per un consiglio in primo luogo i propri familiari (58 per cento young Gen Z e 55 per cento old Gen Z). Tra i giovani che hanno attuato qualche forma di investimento, vengono privilegiati prodotti tradizionalmente più sicuri come buoni postali, libretti di risparmio, conti deposito, che precedono fondi comuni, Etf e azioni. In oltre due casi su 10, però, emerge una propensione a investire in prodotti alternativi come le criptovalute. Da sottolineare, però, come solamente il 20 per cento degli intervistati con esperienze di investimento dichiari di saper valutare correttamente i rischi.

“La fotografia scattata dall’indagine Nomisma evidenzia una mancanza di consapevolezza delle dinamiche finanziarie molto diffusa tra i più giovani, ma anche in seno alle loro famiglie di origine. In questo contesto si inserisce l’incontro formativo odierno che, partendo dalle lacune evidenziate, intende trasferire a giovani, docenti e scuole pillole formative utili per gestire le proprie finanze in modo più consapevole, evitando così di commettere errori, fare scelte economiche avventate e cadere in situazioni di sovraindebitamento”, commenta Luigi Ursino, Presidente di Esdebitami Retake. “L’aspetto più significativo è quello della famiglia e del benessere psico-sociale, rispetto a tutte le questioni materiali”. Lo dichiara Nicola Ferrigni, Professore associato di sociologia alla Link Campus University di Roma e Direttore Osservatorio permanente sui giovani Generazione Proteo. Questa generazione “si identifica nello star bene con se stessi. Si tratta di una rivoluzione copernicana – continua il professore. Un altro aspetto che mi ha colpito è la curiosità, l’apertura mentale e l’indipendenza”. Questa generazione “considera la flessibilità un punto di forza”, come il lavoro “che non deve essere uno per tutta la vita”, conclude Ferrigni.

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TM

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