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Mar. Lug 8th, 2025

La filiera agroalimentare vale 700 miliardi di euro, ma è troppo frammentata

La filiera agroalimentare italiana – che comprende agricoltura, industria alimentare e delle bevande, intermediazione, distribuzione e ristorazione – ha superato i 707 miliardi di euro di fatturato complessivo, con una crescita del 34% rispetto al 2015 e 5,8 milioni di lavoratori occupati.

I dati, elaborati da TEHA in occasione della nona edizione del Forum Food&Beverage di Bormio, confermano l’agroalimentare come prima filiera produttiva nazionale per contributo al PIL, con un’incidenza pari al 19,8% se si includono anche le attività a monte (come la produzione di macchinari e la fornitura energetica) e a valle (come il packaging e l’imballaggio).

Nel 2023 il settore ha generato 74 miliardi di euro di valore aggiunto diretto, un valore 2,5 volte superiore a quello della moda Made in Italy e oltre 5 volte maggiore rispetto all’industria chimica. L’Italia si posiziona al terzo posto tra i principali Paesi dell’Unione Europea per valore aggiunto dell’agroalimentare, con un’incidenza del 3,9% sul PIL nazionale.

Tuttavia, la crescita è frenata da una struttura imprenditoriale ancora troppo frammentata, composta in prevalenza da microimprese.

Numeri da record, ma un modello industriale da ripensare

Secondo il report TEHA, oltre 8 aziende su 10 del comparto agroalimentare italiano sono microimprese, ma contribuiscono appena al 9,9% del valore aggiunto complessivo del comparto food&beverage.

A trainare l’efficienza sono le grandi imprese, che rappresentano solo lo 0,3% del totale, ma con una produttività pari a 105.200 euro per addetto. Un dato superiore di 1,4 volte rispetto alla media UE-27, e ancora più elevato se confrontato con Spagna (1,6 volte), Germania (1,5) e Francia (1,2).

«La struttura dell’impresa incide in modo decisivo sulla sua capacità di rispondere ai cambiamenti geopolitici, alle nuove regole e alle richieste di mercato in rapida evoluzione», ha dichiarato Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di TEHA. «Nel settore food&beverage, il 36,5% delle aziende è oggi preoccupato per la sostenibilità operativa, in aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al 2024».

I prodotti tipici certificati trainano l’export agroalimentare

Con 891 prodotti DOP e IGP, l’Italia si conferma prima in Europa per numero di certificazioni agroalimentari. Nel 2023, questo segmento ha generato 20,2 miliardi di euro di fatturato, con il vino come primo prodotto per valore, seguito da formaggi e salumi.

Le produzioni certificate rappresentano il 10,8% del fatturato del comparto food&beverage e contribuiscono al 19,9% dell’export alimentare nazionale.

«Le certificazioni – ha spiegato Benedetta Brioschi, partner TEHA – non solo supportano l’export, ma rafforzano il posizionamento globale del Made in Italy, come dimostra anche il valore medio delle esportazioni agroalimentari italiane, pari a 254,5 euro ogni 100 kg, il più alto tra i grandi Paesi europei».

Le proposte di policy di TEHA per il futuro dell’agroalimentare

Durante il Forum Food&Beverage di Bormio, TEHA ha illustrato una serie di proposte politiche a sostegno del comparto agroalimentare. Le misure previste puntano a:

Incentivare innovazione e digitalizzazione

Semplificare l’accesso al credito

Valorizzare le filiere certificate

Promuovere la sostenibilità lungo tutta la catena del valore

Attrarre giovani talenti attraverso percorsi formativi più qualificanti

Garantire un quadro normativo stabile e favorevole all’impresa

«In un momento in cui il futuro del Paese si gioca sulla capacità di rispondere ai cambiamenti con strumenti nuovi, il sistema agroalimentare italiano può e deve diventare un modello di **crescita resiliente, digitale e inclusiva» – ha concluso De Molli –. «Per riuscirci serve un piano strategico condiviso, basato su dati concreti, che coinvolga l’intera filiera e abbia uno sguardo di lungo periodo».

Per altri approfondimenti sulla filiera agroalimentare e le politiche a supporto del Made in Italy, visita la sezione dedicata su Food Affairs.

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