“Voglio ringraziare VeronaFiere e Sol2Expo per questa grande occasione che racconta l’alto posizionamento dell’olio italiano, oltre che essere un grande passo in avanti e anche di coraggio in un momento non facile per l’export, ma è nei momenti difficili che bisogna mostrare innovazione, coraggio, voglia di cambiare il ritmo. Viviamo una stagione caratterizzata da una politica protezionista inaugurata dagli Stati Uniti e dal presidente Trump, ma oggi più che mai dobbiamo ragionare su qual è la nostra capacità produttiva e, se guardiamo i dati, è una tendenza estremamente negativa. Oggi l’Italia non è competitiva: siamo passati dalla campagna di raccolta olive del 91-92 con 674.000 tonnellate a quella del 2021-22 con 315.000 tonnellate.
La Spagna è ad un milione, tre volte la capacità produttiva italiana. Siamo scesi dal podio dei primi Paesi produttori e che la nostra bilancia commerciale è negativa a proposito di posizionamento internazionale. Scontiamo un calo produttivo aggravato anche dagli eventi climatici, dai fenomeni legati alla vicenda ben nota della Xylella nelle regioni meridionali. Inoltre, abbiamo un patrimonio olivicolo troppo vecchio: oltre il 60% dei nostri olivi ha più di 50 anni di età e se andiamo a vedere quelli con meno di 11 anni, siamo soltanto al 3%. Quindi abbiamo un patrimonio olivicolo vecchio, con un costo di produzione tendenzialmente più alto rispetto agli altri Paesi, anche a causa dei costi energetici che incidono molto. Dal punto di vista internazionale, manteniamo una domanda alta di olio in Italia e abbiamo anche un numero di aziende importanti, 640.000 aziende con un patrimonio di 160 milioni di piante, ma soprattutto una grande ricchezza di varietà – 533 cultivari. Questo ci dice che non dobbiamo andare a cercare varietà di olive da altri Paesi, possiamo utilizzare le nostre e dobbiamo anche riuscire a rispondere ad una domanda molto vasta: da un lato le filiere di grande valore, dall’altro però anche volumi produttivi importanti. Se vogliamo essere competitivi, noi dobbiamo crescere nella capacità produttiva. In Cile le superfici a oliveto sono aumentate del 41%, in Argentina del 39%, in Marocco del 22,6%, in Turchia dell’11,4%, in Portogallo del 10,9%. In Spagna, che già ha molte superfici, è aumentata del 5,4%. Persino in Francia c’è stato un aumento, mentre l’Italia è l’unico grande Paese produttivo che vede calare le superfici produttive del 3,5%. E anche l’export di tutti i nostri competitor è aumentato notevolmente: la Turchia ha fatto un passo in avanti del 16,4%, il Portogallo 14,8%, la Tunisia 9,8%, rispetto a una media del commercio mondiale che è cresciuta del 6,2%. Noi di quanto siamo cresciuti? Del 3%, cinque volte meno di come è cresciuta la Turchia. Questi sono i numeri dai quali dobbiamo cominciare se vogliamo ragionare sul posizionamento. Dobbiamo avere finalmente un piano nazionale per l’olivicoltura che è stato annunciato più volte, ma ancora non lo abbiamo ed è necessario per poter intervenire sull’estensione e l’ampliamento delle superfici coltivabili, sul rinnovamento del nostro patrimonio di olivi che passa per la rimozione di quelli vecchi e piantare giovani olivi nelle nuove superfici che possiamo andare a coltivare. Se vogliamo tornare ad essere competitivi a livello internazionale di deve ripartire dalla qualità e quantità. Senza una strategia nazionale diventa difficile capire come muoversi a livello internazionale, campo dove abbiamo molte sfide da affrontare, a partire dalla questione dazi americani. Sono d’accordo sul fatto che dobbiamo lavorare per l’interesse nazionale, anche avendo posizioni politiche diverse. Se è vero che i dazi sono legittimi, dobbiamo dire con grande chiarezza che sono un danno. Il possibile arrivo dei dazi dagli Stati Uniti sui prodotti europei andranno a colpire l’eccellenza italiana, tra cui il comparto della moda, quello delle auto, e chiaramente il settore agri-food dove l’Italia è sempre stata forte, specialmente per l’olio extravergine di oliva ed il vino. Non possiamo sperare di cavarcela perché magari abbiamo qualche amico a Washington, perché il sistema dei dazi, come ben sappiamo, consente agli Stati Uniti di differenziare dove colpire e noi come Italia non possiamo rispondere come singolo Paese, dobbiamo essere capaci di rispondere come mercato unico europeo, anzi come Unione Europea, e di fronte ai dazi americani dovremo rispondere a livello europeo con i dazi. Dobbiamo quindi avere la capacità di aprire a nuovi ambiti commerciali, facendoci trovare pronti con una strategia dalla sfida che rappresenta il Mercosur e aprendoci a nuovi mercati guardando all’Asia” ha dichiarato nel suo intervento a Verona in occasione di SOL2EXPO l’europarlamentare PD Dario Nardella.