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Ven. Dic 6th, 2024

Nei giorni scorsi il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha presentato un ricorso contro la multinazionale Kraft Foods Group Brands LLC. Il colosso statunitense sta tentando di ottenere la registrazione del Kraft Parmesan cheese come marchio ufficiale in Nuova Zelanda. I produttori emiliani per questo sono sul piede di guerra e promettono battaglia. Prima di vedere come andrà a finire, cerchiamo prima di conoscere i protagonisti di questa vicenda.

Il Consorzio del Parmigiano Reggiano nasce nel 1934 portando avanti la tradizione di un prodotto storico, eccellenza e simbolo del Made in Italy alimentare. Il “Re dei formaggi” si fa con gli stessi ingredienti di nove secoli fa. Una storia lunga che “oggi può contare su circa 330 caseifici artigianali della zona tipica, rappresentanti di circa 2800 allevamenti che hanno ottenuto dalla legge il riconoscimento della loro determinazione a conservare inalterato il metodo di lavorazione e l’altissimo livello qualitativo del formaggio”.

Ma torniamo ai giorni nostri, ed entriamo nel merito della vicenda. Il presidente del Consorzio Nicola Bertinelli ha ricordato che “da oltre 20 anni ha registrato il marchio Parmigiano Reggiano in Nuova Zelanda e con un’azione legale punta a tutelare l’interesse dei produttori della Dop dal tentativo di registrazione che sarebbe contro la legge, e dannoso per i consumatori neozelandesi e per i produttori italiani”.

Bertinelli sottolinea: “Non è facile confrontarsi con multinazionali da oltre 20 miliardi di euro, il Consorzio è e sarà sempre dalla parte di Davide nella lotta con i giganti. Si stima che il giro d’affari del falso parmesan fuori dall’Unione Europea sia di 2 miliardi di euro, circa 200mila tonnellate di prodotto, ossia 15 volte il volume del Parmigiano Reggiano esportato”. “Il Consorzio – conclude Bertinelli- sta lavorando per ottenere all’estero lo stesso riconoscimento e le stesse tutele che il sistema delle Dop garantisce all’interno dell’Unione Europea”.

Il parmesan non è un fenomeno unico. Lo scorso febbraio il presidente della Coldiretti Ettore Prandini denunciava che “all’estero più di due prodotti di tipo italiano su tre sono falsi”. Per invertire la rotta è necessario battere il cosiddetto “Italian sounding”. Un termine con cui si intende il processo di diffusione di prodotti che presentano nome, logo, colore o slogan riconducibili all’Italia ma che di fatto non hanno nulla a che vedere con l’autenticità dei prodotti “made in Italy”.

I profitti incassati dai grandi gruppi sono quindi frutto di un raggiro. Non è l’imprenditore più abile ad conquistare maggiori fette di mercato ma quello più furbo. L’asimmetria informativa è fisiologica nel commercio ma in casi come quelli elencati diventa patologica. Non solo in senso figurato: in Italia nel 2018 almeno quattro prodotti alimentari su cinque provenivano dall’estero. Tornando alla vicenda neozelandese, la sfida che stanno ingaggiando i produttori emiliani è assolutamente impari. Si trovano di fronte la Kraft, multinazionale americana da oltre 20 miliardi di dollari, la quinta potenza al mondo nel settore food and beverage, la seconda negli Usa.

Per questo la battaglia non deve essere legale ma politica. Ci aspettiamo, dunque, una risposta forte da parte delle istituzioni italiane e comunitarie senza badare al distacco istituzionale che impongono i discepoli del laissez-faire. (Fonte ilprimatonazionale)

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