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Dom. Dic 8th, 2024

Un nuovo, imponente studio del Rudd Center for Food Policy & Obesity dell’Università del Connecticut, del Council of Black Health della Drexel University e di Salud America! della UT Health di San Antonio dimostra quanto il comportamento delle catene di fast food, delle aziende di dolciumi, bevande dolci e junk food in generale sia a dir poco discutibile. Al di là di tutti i proclami di buona volontà, negli ultimi anni tutti questi soggetti hanno continuato ad aumentare la spesa in pubblicità rivolte ai ragazzi. L’attenzione è stata focalizzata sui target più vulnerabili, cioè i bambini e i giovani afroamericani e ispanici, che hanno tassi di sovrappeso e obesità allarmanti. Questi giovani vivendo in condizioni economiche più difficili e avendo livelli inferiori di istruzione rispetto aI bianchi, sono anche i più suscettibili ai richiami pubblicitari e alle offerte di cibo a bassissimo prezzo.
Il rapporto, di 147 pagine, parte dall’analisi degli investimenti pubblicitari di 32 tra catene di ristoranti, fast food e aziende di junk food che hanno speso almeno 100 milioni di dollari in spot tv diretti a bambini e ragazzi di età compresa tra i 2 e i 17 anni nel 2017. Il problema è che queste catene hanno aderito alla Children’s Food and Beverage Initiative (CFBAI), il programma volontario di autoregolamentazione della pubblicità rivolta ai bambini con meno di 12 anni.
Impressionanti le cifre ottenute confrontando i dati del 2013 con quelli del nel 2017. Fast food, dolci, soda e snack rappresentano l’86% delle pubblicità in onda nei programmi televisivi più amati dai ragazzi neri e l’82% dagli ispanici. In totale, le aziende hanno speso 1,1 miliardi di dollari, l’80% dei quali è andato a questo tipo di spot.
Ma il dato più clamoroso riguarda l’andamento nel tempo. Negli ultimi anni autorità sanitarie come l’Oms sono state molto chiare sulle azioni da intraprendere a difesa dei ragazzi sulla necessità di limitare la pubblicità dedicata a loro, e in riposta all’appello le aziende si sono spese in dichiarazioni e programmi come il CFBAI che andavano nella giusta direzione. In realtà dal 2013 al 2017 le pubblicità rivolte ai ragazzi di colore sono aumentate del 50%, nonostante la spesa totale per la pubblicità sia scesa del 4%. Il risultato è che nel 2017 i ragazzi neri hanno visto il doppio degli spot rispetto ai loro coetanei bianchi.
A conferma di tutto ciò c’è anche l’altra faccia della medaglia: l’esiguità della spesa in pubblicità per bevande e alimenti sani quali i succhi di frutta al 100%, gli snack a base di noci o frutta fresca, l’acqua: per questo tipo di alimenti aziende e ristoranti hanno speso 195 milioni di dollari, pari al 3% del totale della spesa pubblicitaria, percentuale che scende all’1% se si analizzano ancora una volta i ragazzi neri, e a zeroper quel che riguarda gli ispanici.
Anche osservando i dati nel dettaglio, si vede che nel 2017 i bambini e i ragazzi afroamericani hanno visto una media di 16 spot di cibo al giorno, contro gli 8,8 dei bambini e i 7,8 dei ragazzi bianchi, e la situazione è peggiorata rispetto al 2013; allora infatti i giovani afroamericani vedevano il 70% in più di pubblicità di cibo, ma nel 2017 la differenza è stata dell’86% per i bambini e del 119% per i ragazzi.
Una delle voci più importanti degli spot è quella di caramelle e dolciumi, che coprono il 20% delle pubblicità per gli ispanici. Secondo il rapporto le aziende peggiori sono, senza alcuna sorpresa, Mars, Coca Cola e Pepsi Cola oltre alle catene di ristoranti e fast food che occupano circa la metà del tempo pubblicitario, con programmi in spagnolo e spot diretti esplicitamente ai ragazzi di colore.
“Se davvero le aziende hanno a cuore, come dicono, la salute di bambini e ragazzi” – ha commentato Amelie Ramirez, di Salud America! – possono iniziare a dimostrarlo eliminando le pubblicità rivolte ai ragazzi ispanici e alle loro famiglie”. Dello stesso tono sono, ovviamente, i commenti di altri autori, che chiedono di approvare standard più restrittivi per il CFBAI. Le due associazioni chiedono ai produttori di eliminare queste campagne pubblicitarie rivolte a ispanici e afroamericani, aumentando al tempo stesso il loro impegno per la promozione di un’alimentazione più sana. C’è ragione di pensare che questo appello non raccoglierà grandi consensi.

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