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Da Sadler a Cracco, appello di 80 chef contro lo street food. Appello Fipe: stesse regole per stessa professione. Home restaurant Hotel replica: siamo regolati dal parere del Ministero

Chef stellati e ristoratori contro “finti” agriturismi diventati ristoranti a tutti gli effetti, gastronomie, macellerie e pescherie che si “trasformano” in ristoranti senza dimenticare i furgoncini dedicati allostreet food e le altre forme di servire piatti e pietanze sorte sull’onda lunga della gig economy. Nasce così «L’appello della ristorazione alle istituzioni italiane per non mangiarsi il futuro» trasmesso dalla Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) ai vice premier Matteo Salvini, Luigi Di Maio e a Gian Marco Centinaio, ministro delle Politiche agricole e del Turismo. A firmarlo una ottantina di chef stellati oltre, per il momento, a diverse centinaia di ristoratori accomunati da un unico obiettivo: eliminare le diseguaglianze tra pubblici esercizi e chi offre lo stesso servizio senza dovere seguire gli stessi impianti e obblighi normativi dei primi.

«Da tempo Fipe, in rappresentanza di oltre 330mila aziende della ristorazione chiede che allo stesso mercato corrispondano stesse regole – premette Lino Enrico Stoppani, presidente della Federazione -. In Italia si assiste a una deriva legislativa e giurisprudenziale che per il nostro settore stravolge i più banali principi di equità». Una stoccata alle “lenzuolate” di Bersani che spalancarono le porte alle liberalizzazioni fino a due recentissime sentenze del Tar del Lazio che evidenziano quali elementi e criteri fanno sussistere o meno la presenza di un servizio di somministrazione e il consumo immediato. «Grazie a una interpretazione distorta di quelle norme un esercizio la cui attività principale è quella di vendere prodotti alimentari può di fatto fare ristorazione offrendo ai propri clienti la possibilità di consumare in loco tali prodotti senza per questo dover sottostare a tutte le regole imposte a bar o ristoranti – spiega il presidente -. Si tratta, per esempio, della presenza di servizi igienici adeguati alla frequentazione del locale o la presenza di locali idonei alla lavorazione dei prodotti. Per non parlare degli oneri tributari, come le tasse sui rifiuti, che sono diverse fra le categorie e sensibilmente più onerose per chi fa somministrazione». In altre parole il nodo cruciale è l’avere regole uniformi per chiunque opera nella ristorazione «con uniformità di regole e uguale tutela dei consumatori» sottolinea Stoppani.

«Dobbiamo entrare nella logica che le regole devono essere applicate nell’interesse comune e dei clienti ovunque ci sia somministrazione con la vendita o la consegna delle pietanze e piatti – aggiunge la stella Michelin Claudio Sadler -. Come pubblici esercizi siamo costantemente controllati con obblighi che altri non hanno». Perchè i pubblici esercizi devono affrontare una serie di obblighi di legge impegnativi e costosi. Carlo Cracco sottolinea «come non si fa nulla per premiare e difendere chi investe – dice – e al posto di aumentare le professionalità le si annacqua».

Filippo Giordano de Alle colline pistoiesi, terza generazione del ristorante di famiglia a Milano, segnala «i posti dove si mangia sono più che triplicati negli ultimi anni, tanti aprono e tanti chiudono facendosi la guerra sui centesimi e la qualità si abbassa a danno dei consumatori – avverte -. Si abbassano i fatturati perché il bacino di utenti non è cambiato mentre il fatto che non ci sia più una soglia di ingresso e quindi selezione consente a chiunque di inventarsi ristoratore o barista, spesso senza preparazione e senza cultura della cucina. In più viviamo in una situazione perversa che permette a qualcuno di agire senza regole e ad altri impone regole stringenti e onerose, lo trovo addirittura non solo inconcepibile ma addirittura offensivo verso chi cerca di fare il proprio lavoro con serietà e dedizione. Dall’eccessiva proposta non ci guadagna nessuno. E il consumatore rischia». (Fonte Sole 24 Ore)

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La’appello della Fipe
La cucina italiana: orgoglio degli italiani, ispirazione per gli stranieri, ali e radici per chi viene e torna nel nostro Paese. In numeri, la nostra ristorazione vale 300mila imprese, 85 miliardi di fatturato e 43 miliardi di valore aggiunto all’anno per 1 milione di occupati. Meno puntuale, ma non meno strategico, il valore intangibile del settore in termini sociali, storici, culturali, antropologici e come volano dell’attrattività turistica e dell’intera filiera dell’agroalimentare del Paese. Ora, poi, il settore sta vivendo una popolarità senza precedenti, con gli Chef famosi come attori e contesi come influencer, a dimostrazione che la cucina – da sempre strumento di comunicazione – è appetibile anche come strumento di consenso.

Bene, insomma, ma non benissimo. Questi risultati sono la punta di un iceberg fatto del lavoro di centinaia di migliaia di imprese che, con la loro professionalità, creatività e quotidianità, fanno la forza di questo settore, che riceve a parole grandi pacche sulle spalle, ma nei fatti rischia oggi un impoverimento senza precedenti.

Ogni giorno nelle scelte politiche si incentivano settori che effettuano di fatto somministrazione, senza essere sottoposti alle stesse regole che si applicano alla ristorazione e ai pubblici esercizi in generale.

Ci riferiamo agli operatori del settore agricolo, ai circoli privati, al terzo settore, ai negozi di vicinato, agli home restaurant, allo street food etc. Perché se non ti chiami “pubblico esercizio”, non importano i servizi igienici, la presenza di spazi per il personale, gli ambienti di lavorazione idonei, la maggiorazione sulla Tari e il rispetto delle normative di Pubblica Sicurezza.

La disparità di condizioni non genera nel mercato soltanto concorrenza sleale, ma finisce per impoverire il mercato stesso nel momento in cui le attività di ristorazione chiudono, magari per reinventarsi in esercizi più semplici, dove tagliare i costi del servizio e di preparazione, con effetti immaginabili sulla qualità del prodotto, sui rischi alimentari dei consumatori, sull’occupazione del settore e l’attrattività delle nostre città.

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Non chiediamo meno regole: chiediamo che vengano applicate le stesse regole per la stessa professione, anche a tutela e a salvaguardia dei 10 milioni di clienti che ogni giorno frequentano i Pubblici Esercizi.
Non chiediamo meno concorrenza: auspichiamo, anzi, che ce ne sia sempre di più, ma per migliorare il mercato, non per renderlo più fragile.

Non chiediamo privilegi o corsie preferenziali: chiediamo alle Istituzioni più attenzione e un tavolo, promosso dai ministeri competenti, con la partecipazione dei diversi attori della filiera – che apparecchi una visione strategica complessiva e consapevole per il settore.

I sottoscrittori di questo appello hanno fatto degli investimenti qualitativi e del rispetto delle regole, un punto di merito e uno stimolo per migliorare la qualità del settore, tutelando le scelte di milioni di consumatori.

È così che vogliamo difendere la categoria, quella delle imprese della ristorazione: salvaguardando il contributo che offre all’economia italiana, un contributo di varietà e, soprattutto, di qualità, tratto distintivo del Food in Italy che tutti conosciamo. E amiamo.

pernonmangiarsiilfuturo #StessoMercatoStesseRegole

La replica di Home restaurant Hotel: siamo regolati dal parere del Ministero

“Fipe in questi anni ha adottato una linea dura contro un settore in crescita e innovativo come quello degli Home Restaurant perfettamente regolato dal parere del Ministero dell’interno del 1 febbraio 2019”. E’ la replica della piattaforma Home restaurant Hotel all’appello della Federazione dei Pubblici esercizi di garantire una competizione leale nel mercato della ristorazione. Secondo il ministero, infatti, ricordano gli Home Restaurant, se l’attività è diretta a particolari soggetti ed è svolta occasionalmente, non sarà assoggettata alla disciplina di somministrazione di alimenti e bevande. In caso contrario e quindi se rivolta a un pubblico indistinto, sebbene esercitata occasionalmente, sarà classificata come somministrazione di alimenti e bevande.
La Fipe, precisano, “non può denigrare un settore in forte crescita che si discosta di molto dall’offerta proposta dalla normale ristorazione, quanto invece dovrebbe vederla come un’attività di promozione e valorizzazione del territorio. È paradossale come in questo paese qualsiasi innovazione venga vista come un male”. E aggiungono, “a differenza di altre aziende del settore siamo in regola e spingiamo in nostri clienti ad esserlo con le norme vigenti. Mi sembra ovvio che gli Home Restaurant, in palese contrasto con quello della normale ristorazione, non può avere le stesse regole di quest’ultima, ma deve essere posto su un piano diverso in quanto offre un’esperienza calorosa, dove il cliente anche se deve essere definito ospite, si deve sentire a casa e volendo provare le prelibatezze del luogo”.

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TM

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